Poeti

leggiCi sono ritratti di scrittori che valgono un saggio critico, perchè riescono a cogliere l'essenza segreta di un personaggio, a renderla miracolosamente trasparente. Penso ad esempio a quelli di Tullio Pericoli, che ci predispongono a meglio intendere grandi autori del Novecento: Kafka, Beckett, Proust, Gadda... La stessa operazione può essere fatta con la fotografia, ma risulta ancora più difficile, perchè la capacità di deformazione dell'immagine, cioè la libera interpretazione, è minore, rispetto alla libertà espressiva di cui gode un pittore. Un tratto allusivo o caricaturale può dire molto. In ogni caso tra fotografo e fotografato deve scattare quell'intesa, quella sintonia che a un certo punto consente al fotografo di rubare l'anima al fotografato. E' un esercizio di sensibilità e destrezza, qualcosa di non dissimile dalle tecniche predatorie dei grandi rapaci, che all'improvviso chiudono le ali per fiondarsi sul bersaglio. La mobilità, l'elusività di un volto è persino maggiore di quella di una qualsiasi preda in movimento. Esiste una correlazione tra il volto di un autore e la sua opera? Si possono leggere meglio Le occasioni se un pittore o un fotografo è riuscito a sorprendere per un istante Eugenio Montale fuori dal suo guscio protettivo, dal suo carapace? Che cosa ci vuol far sapere, poniamo, Edoardo Sanguineti, offrendosi all'occhio indagatore dell'obbiettivo? E' possibile che in un volto stiano inscritti segni che possono rivelare a un interprete di talento l'immagine segreta, l'identità interiore dell'effigiato? Quante cose stanno scritte in un volto? Chi le scrive? La vita, come voleva Céline, che si preoccupa di modificare senza soste, arbitrariamente, l'hardware del codice genetico? Un volto ci aiuta a capire, o è invece una maschera, la persona dei latini? Un dato è certo: il fotografo è essenzialmente un decrittatore, un disvelatore, un 'traduttore' che ibrida linguaggi diversi. Con i suoi magistrali ritratti, Gianfranco Mura entra a buon diritto anche nella speciale categoria dei traduttori che danno vita a nuove creature. Diceva Calvino che 'scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che poi venga scoperto'. Non diversamente opera la fotografia. Sembra tutta esibita, facilmente catturabile e decodificabile, in realtà lavora a nascondere per rivelare. Scava nell'ombra per portare un fascio di luce, il raggio-bisturi di un laser. La sfida di ogni ritratto sta qui. Diventa ancora più complessa se investe il gioco tra volto e testo, tra immagine e parola scritta. Naturalmente non offre risposte univoche e valide per tutti. Ogni lettore/osservatore elaborerà le sue. Di certo uscirà arricchito dal confronto. Capirà meglio l'autore, i suoi testi e se medesimo, il lettore-autore che con la sua interpretazione (proprio in senso musicale) è chiamato a dar vita a un testo o un'immagine che altrimenti resterebbero inerti, sequenza di segni neri impressi su un foglio bianco. Ernesto Ferrero

Alba Donati

alba donati

Una figlia

Difenderti
non è stato facile,
l’acqua scivolava via e si bagnava
e non si leggeva la carta col tuo nome e cognome

difenderti
sulla piazza gelata
dove nulla faceva pensare al duello dei padri-poeti,
feriti sulla neve, appoggiati alle betulle, che morivano per quel passo
all’indietro, per il mantello dimenticato nel vano della porta

difenderti
qui e adesso lungo il viale
dove crollano le fabbriche di mattoni e di vetro,
e crolla questo tempo di mezzo non più nuovo e non più vecchio di altri
e se vetro e mattoni verranno distrutti…

difenderti
tu che sei nata d’amore e sei privilegio per pochi
nata in quell’attimo di distrazione che ci rese buoni e
infinitamente celestiali, segnata di libertà,
chiazzata di assoluto e tuttavia così davvero normale

difenderti
mentre tu, zitta come un topino,
scrivi nel cielo, a caratteri d’oro, i risultati dell’amnio: la lettera S-
la lettera E – la lettera S – la lettera S – la lettera O / la lettera F–!

Alda Merini

alda merini

Era una strada senza colore
la mia faccia
qualcosa che si prestava a tutti
per essere pittata
era un pinocchio senza anima 
che stava sulle pagine 
non so
chi ci ha visto dentro la poesia
perché tu improvvisamente
mi hai amata

Andrea Zanzotto

andrea zanzotto

Verso i Palù
                                          o Val Bone
                               minacciati di estinzione

                                                   I
                        “Sono luoghi freddi, vergini, che
                                                        allontanano
                       la mano dell’uomo” – dice un uomo
triste; eppure egli è assorto, assunto in essi.
Intrecci d’acque e desideri
d’arborescenze pure,
dòmino di misteri
cadenti consecutivamente in se stessi
attirati nel folto del finire
senza fine, senza fine avventure.

                                                 II
Scioglilingua per ogni
specie dei verdi, sogni
d’acque ben circuite e circuenti
con altezze d’inflorescenze
leggere fin quasi all’invisibile –
verdi intenti a conoscenze
impossibili, ventilate
dalle raggiere radianze dell’estate.

                                                III
Specchi di Lete
qui riposanti in se stessi
tra mille fratelli e sorelle,
specchi del verde
ad accoglierli attenti
fino a disfarsi in scintille
a crescere in cerchi d’arborescenze
per tocchi
              di venti,
                      di trepidi occhi.

- Pan
  dove sei?
- Si.

                                                 IV
Fulgore e fumo, più che palustre
verde,
acqua nel verde persino frigida,
fa ch’io t’interroghi
ripetutamente, perché
nel tuo silenzio si aggira letizia

Antonella Anedda

antonella anedda

Terra

Tonda, gelida dei suoi oceani, trasparente
come una cellula sotto il microscopio
eppure orizzontale con monti posati saldamente sopra i prati
con la lingua dei  fiumi e il mare steso.

Solo a volte sospetto la vertigine:
ruotiamo più veloci. Dormendo grido <<cado>>
e là sento lo spazio, il nero, le stelle sulla nuca
lo spavento che vomita se stesso in mille sfere.

<<Oh quello è l’inferno>>, dici e ti addormenti.
Medito sull’inferno allora. Basta che muova il peso della tenda
Facendo scorrere gli anelli lungo il vetro. Vedo con esattezza:
un filo di formiche, la loro marcia, la grande notte stellata.

Provo a prendere l’inferno per un lembo
(un po’ di nero, il vuoto, lo spavento)
per farlo vorticare nel cortile perché l’abete ruoti fino al cielo
per essere l’insetto che sono sempre stata:
che nasce e si dimentica nell’aria.

Antonio Riccardi

antonio riccardi

Vacanze sull’isola dei galli

Sei tu la bestiolina che vedo sbucare
dal fiore di un'agave già viola
nel giardino sull'isola dei galli
in pieno sole, tra Mosca e l'Eldorado.

Sospesi, fiore e lucertolina
—l'uno e l'altra spinti fin qui
da un tempo di cataclismi e dinosauri
e adesso miniaturizzati
al nostro tempo, per nostra passione
e sola felicità—, sono nella penombra
in un tempo più vero e feroce
di profitto e migrazioni.

Biancamaria Frabotta

Bianca Maria Frabotta

Bradamante

Sia l’ottavo anno della nostra giostra
o sia l’ottavo secolo, ripètiti per noi
pupa generosa col pennoncello bianco.
A largo delle nuvole smaniose
accorre, mentre la cerchi, la tua ombra
in traccia di tua inchiesta, o questua.
In armi appari. E già in trappola cadi?
Mendìca operosa cui diligente attendo
se rotola la notte al suono del respiro
sei la sola a restare senza sonno
hai otto anni e il pennoncello bianco
e quanto, tuttora, facile ad allucinare.

Cesare Viviani

Cesare Viviani

Non mi aveva detto che era uno scheletro,
e non mi interessa se ha combattuto
e ha perso il rosa, il bianco del sorriso, la pupilla,
non voglio avere uno scheletro.
E io che dirti, Pamela, di me dei miei parenti,
quello caduto in guerra mi venne in mente…
No, musica! – onore a te che mi hai chiamato
nel tuo castello e la mia pelle
ammiri e la seta che vesto,
si faccia festa hai voltato pagina
hai messo fine alla crudeltà.

Donatella Bisutti

Donatella Bisutti

Oedipica

Ancora oggi voglio un uomo diverso da te
Non credi all’ondeggiare dello Spirito
Sulla punta della fiamma, ad ogni soffio
che l’inclina
come una foglia di luce, più salda
delle ombre,
più
testarda.

Invecchiando – più frivolo, più
infantile.
Ormai privo di doveri, giochi.
I tuoi occhi azzurri
che vedono meno bene
ritornano a stupirsi,
interrogano.

Adesso non so cosa fare con te.
Non ti odio più
Ti accarezzo la mano come a quel figlio maschio
che non ho avuto.
Forse sono diventata un po’ tua madre.
Ma siamo stati mai negli anni
semplicemente e solo
padre e figlia?
Oppure inevitabile
quell’affollato palcoscenico
quella patetica tragedia?

Edoardo Sanguineti

Edoardo Sanguinetti

Sopra il proprio ritratto

Fioco la faccia, fusiforme il femore,
obeso l’occhio, ostricaceo l’orecchio,
marcio le mani, e le mascelle, e il mento,
eroso l’epicardio e gli epididimi,
zufolante le zanne, un zombi, un zero:

Elio Pagliarani

Elio Pagliarani

IV
Fanciulli voi non avete fatto ogni cosa.
Lavate via il resto tutta questa quaresima.
Lavate via l'anatema: voi avete la maledizione in casa.
(Hanno tanta roba che vi affogano dentro).

VIII
Costoro non credono o non possono credere, e queste parole
li eccitano a ira maggiore: io son contento di eccitarli.

Elio Pecora

Elio Pecora

Autoritratto

Questi che porto addosso e mi dà il nome
con quanta più grazia chiamerei
se non dovessi subirne gli errori,
i subbugli, le angustie, le paure.

Pure, a volte, mi piace: quando smette
di scandagliare i cieli e le immondizie  
e siede nell’istante, guarda intorno,
ancora si stupisce, s’innamora.

Residuo di una razza sgangherata
la superbia gli inarca i sopraccigli,
morbide labbra di angelo apprendista,

naso a vela nel vento, piedi sciolti,
e nel frastuono modula parole,
socciude porte dentro lo sgomento.

Ermanno Krumm

Ermanno Krumm

Ritratto dell’autore da giovane

Si affaccia un giovane,
ha la maglia gialla, la pelle
è turgida, il colore vivo

nella mano di mio padre,
nei colpi di pennello, un tono, un altro,
avanti, finché si son tirate le somme.

E ora che le sue tele sono tutte
in questo solaio basterebbe un po'
di luce: anch'io con i miei milioni
di globuli rossi e le poche decine

di piastrelle da calpestare
sento che c'è un salto alla fine
e ogni cosa finendo è più indulgente,
più viva e capace di evidenza.

Franca Bacchiega

Franca Bacchiega

Sheherazade

Sinfonia nel caos
fiamma nella lebbia
trastulli mentre informi
salvi per salvarti
simuli
narrando la verità
storni la protervia
con la febbre delle storie
tesa
a violare la violenza
nelle fibre dei sultani
a giocare la tua partita a scacchi
contro l'ombra
con le tue pedine chiare
e doni sul flusso della grazia
la tua anima ad un sogno
sillabando la pazienza
seguendo le movenze della vita
da ui respiri le tue fiabe intatte.
E il tuo sorriso sa
del battito continuo, inavvertito
che di notte in notte
versa vita
nel polso della terra.

Franco Buffoni

Franco Buffoni

Voi che sotto la funivia

Voi che sotto la funivia aspettate ancora
Il venti agosto del cinquantanove
Mi vedete al suo collo legato
Con entrambe le braccia. Non ride
Quasi mai, se non di sprezzo
Se qualcosa non va. Ha il passo lungo
E vi attraversa mentre aspettate issandomi.
Io dalle spalle vi domino i crani
Non rido e vedo voi già morti
Nell’ansa sotto del letto di alluvione.
Resto vivo su lui le spalle appena
Incurvate.

Franco Loi

Franco Loi

La lus ghe piov adoss cume a vèss nostra.
Se vardi el ciel, vardi nel cor la vita
E vedi poch de l’umbra che me véd,
là i nuver paren prèj e in de aqua
ch’aj buff del vent se fann d’aria e de nient,
ma dré del nient amo passa la vita,
la lus che se fa furma aj vus del vent.

Giampiero Neri

Giampiero Neri

Keramicos

Il silenzio del luogo
fra radi alberi sempreverdi
era appena interrotto
da colpi di vanga.
Scavando si addentravano negli anni
quanti mai di guerre e di memorie
di quella terra illustre,
si sbriciolavano all’aria
come sabbia.

Gian Piero Bona

Gian Piero Bona

La poesia

Scrivere senza che tu in me sia nata
ancora, illuminando le foreste
oscure dell’idea, naufragata
all’estuario popoloso e celeste

del mio sangue, dal remoto sentiero
del verso ridiscesa sulla terra,
plenilunio della parola, vero
riflesso dell’unica forma, serra

della rima totale, mio elicriso
virtuoso e fatale, cara poesia;
scrivere e qui non averti reciso

ancora sul lago dell’espressione,
è morire nella tua prosodia
del sospiro e della maledizione.

Giancarlo Consonni

Giancarlo Consonni

IX


L’è minga assé to so la mòn.
In de mesté
ghe vor malissia.

So ‘l técc di ascensùr
mi ghe dò ‘l grass
sènsa blucàj.

Quéj ch’in dènt
a sènten sifulà.
Sò mi,
fringuèll fora la gabia.

 

 

IX
Non basta farci la mano./Nei mestieri/ci vuol malizia.
Sul tetto degli ascensori/io li lubrifico/senza bloccarli.
Quelli che sono dentro/sentono zufolare./Sono io,/fringuello fuori dalla gabbia.

Giancarlo Majorino

Giancarlo Majorino

andavamo tutti come fosse un’emigrazione
chi per acqua chi per terra, allarmati
notammo che un leone ci oltrepassava
ma era come quando nella tundra incendiata
fuggivamo insieme felini e prede uccelli e serpi
cos’era cosa poteva esser stato nulla ricordo
non fatti precisi non odor di bruciato migravamo
in ratti gusci motorizzati e caschi a piedi scalzi
da chi sa che mossi transitavamo nel piano sembrante discesa
così potevamo saremmo riusciti a scampare a arrivare ansando entro
quando? in tempo e non contavano orario e luogo transitare
occorreva, altro corpo! snello basso e tozzo su quattro sciolte zampe
quasi una lotta di molte zampe gambe
una testa bianca tra colli di giraffe
sandali orme zoccoli nella sabbia
nel suo trotto a zig zag cinghiale irsuto
con famiglia a fianco bimbo su bici
gara di motocicli chiatte e scafi a accanto
una universale processione forte respirante
sbandata ma diretta senza macchine da presa
o per quegli apparecchi occhialuti ritrasmessa
eravamo dentro pure per noi scorreva noi fissi davanti
cosa preoccupava il rinoceronte con intorno il vuoto?
la mandria pelosa che panicata quasi s’ingoiava?
la coppia remante arti e respiro sotto forte ipnosi?
il caduto rischiava tutto ma
capitava e dopo un grido d’aiuto
quasi tranquillizzato si chetava
trafitto schiacciato
trafitto schiacciato, per le mosche
i fastidiosi insetti non v’era tempo
di notarli, né i canterini uccelli
dardeggianti vi saranno stati
non era il momento di ricercarli non era il momento
andava come l’acqua un’acqua umana
e animale a non si sa che pozzo tentando
abbandonando non si sa che male

Giancarlo Pontiggia

Giancarlo Pontiggia

D’estate, ogni mattina, mi levavo

D’estate, ogni mattina, mi levavo
all’alba, tra la fresca brina: erano,
in cielo, uccelli misteriosi
che stridevano, e un aria pungente, aspra
che mi rapiva. Plinio leggevo, il Giovane,
in quelle albe, le sue epistole
soffuse di una verde ombra muschiosa,
come un criptoportico nell’ora
verde della prima mattina. Passavano
le ore, di quegli anni troppo lontani,
presagendo un umile destino, com’è stato.
Anche oggi, talvolta, ripensandoci,
provo lo stesso senso docile, stremato
di una vita sospesa in un suo strano

suono, in un tempo semplice, inviolato.

Giovanna Sicari

Giovanna Sicari

Un viso ristretto si specchia
sulla superficie dell’acqua;

la nostra figura brilla come una meridiana
niente è più pauroso
di quegli uomini assenti;

se si potesse ottenere la vita
dell’albero, sarebbe come trovare un punto
di una ignobile metafora;

il linguaggio scende oltre il cemento
e nell’arte moderna
l’uomo si rappresenta
costruendo la memoria;

la terra lo proietta nei suoi immediati
processi, ma una casa bianca
per malfatta che sia non è un pensiero;

per sghembi e neri che siano i portoni
la luna rode quelle cime
vuole costruire imitando la felicità

un giorno di pioggia;

ritorna bambina per l’astuzia della ragione
e inventa un fuoco
nel varco di quel significato.

Giovanni Giudici

Giovanni Giudici

Il ritratto

Il ritratto che qui vedete
Le mani schiuse nelle mani
E lo spento aspettare senza quiete
Arreso a fantasmi lontani

Lo osservano il visitatore o un amico
Domandano chi è vanno oltre
O udito il nome <oh> dicono
Ma tacciono il più delle volte

Forse curiosi al pensiero se sia
Un piccolo parente senza storia
O passione castissima di una zia
Morta giovane in sua memoria

Quasi postuma onoranza
Offrendo a quei gentili affanni
In pre-sepolcrale sembianza
L’amore sfatto dagli anni

Ma niente di tutto questo -
Perché nel ritratto è effigiato
Appena un vecchio Maestro
Messo in disuso benchè amato

Che poi non si ha più coraggio
Di farlo sparire in disparte
Tradita madonna di maggio
Vacilla la fede nell’arte

Mio ritratto che qui vedete
Le desolate mani nelle mani
E l’inerme nerezza senza quiete
Ingenuo a orrori lontani.

Giovanni Raboni

Giovanni Raboni

Mai davvero felice e mai del tutto
infelice – oh, l’ho capito; e mi regolo.
Ma pensare la gioia, almeno quello:
pensarla! E qualche volta, senza farsi
troppe idee, senza montarsi la testa,
annusarla, sfiorarla con le dita
come se fosse (non lo è?) l’avanzo
della vita d’un santo, una reliquia…

Giuseppe Conte

Giuseppe Conte

Estate indiana

Come l’estate indiana in Quèbec porta
la gran luce incendiata delle foglie
rosso-bruna-giallo-oro sulle soglie
dei ghiacci lunghi della stagione morta

così alle volte entra nella mia vita
votata ad aridità, freddo, tempesta
breve e assurda molto più che una festa
di esistere la meraviglia infinita.

Gregorio Scalise

Gregorio Scalise

Un viso ristretto si specchia
sulla superficie dell’acqua;

la nostra figura brilla come una meridiana
niente è più pauroso
di quegli uomini assenti;

se si potesse ottenere la vita
dell’albero, sarebbe come trovare un punto
di una ignobile metafora;

il linguaggio scende oltre il cemento
e nell’arte moderna
l’uomo si rappresenta
costruendo la memoria;

la terra lo proietta nei suoi immediati
processi, ma una casa bianca
per malfatta che sia non è un pensiero;

per sghembi e neri che siano i portoni
la luna rode quelle cime
vuole costruire imitando la felicità

un giorno di pioggia;

ritorna bambina per l’astuzia della ragione
e inventa un fuoco
nel varco di quel significato.

Luciano Erba

Luciano Erba

Il bel paese

Honeste apparenze dei prozii
insediati sul lago! possedere
un panama immenso come il vostro
spostare la torre
sulla scacchiera di legno d’ulivo
e a sera
additare alle donne il Buonaparte
nel profilo del monte!

MariaLuisa Spaziani

MariaLuisa Spaziani

Ricordo del ’44

La Magnani che urla “Francesco!” e rotola sui sassi
è la ferita dei nostri anni giovani.
Le cicatrici non sempre si riparano,
ogni giorno quell’urlo si rinnova.

Siamo stati potati come alberi
a mezzo inverno “per il loro bene”.
Sono più forti, ora, i nostri rami,
le radici nutrite con il sangue altrui.

 

Mario Luzi

Mario Luzi

                   (pensato in disparte)


E’ mite il ghirigoro
                                    d’aria e luce
che accompagna
                             al suolo
la resa delle foglie
sui viali lungo il fiume.
Perché mi introduco in  quel deliquio?
perché rompo, persona,
il muto canto?
                          Sarebbe
Senza me uniforme,
pieno, invasato della propria inopia,
festoso.
              Così scende
la vita, scende incontrastato,
pare, il suo sfacelo
a rigenerarsi nella morte
per il dopo, per il principio. 

Mario Santagostini

Mario Santagostini

Senza titolo

Inutili, le cose vicine.
Neppure ci aiutano, o salutano
Appena meno inutili, quelle lontane.
E questo valga anche per gli astri, per
le flessure degli astri nelle pozze estive: argentate
melme, sperfezionate, sfinitate,
acquatissime stelle
che mi ricordate, e non agite,
e perché non agite?
Sera. Chi ha fatto qualcosa, adesso
non sa se è stato bene, o male.
L’aria è umida,
a medie quote è nebbia, in alto nevica,
molto ricorda il sonno.

Maurizio Cucchi

Maurizio Cucchi

Sono ridotto a una cornice
eppure mi attraversano
sentimenti bellissimi.
L’uomo che giace e si oppone
non è l’uomo indigente, l’escluso.
Dicono i proverbi:
messaggero fedele porta salute.

Mauro Baudino

Mauro Baudino

Anch’io sono venuto dai boschi neri
che cosa sulla culla soffiasse non lo so
ma un gran rispetto nella vita ci vuole
per qualcosa che non sia fuggevole

Guardo l’alba nebbiosa, raramente:
dal mio letto s’innalza il me più stanco
guardo nell’aria insudiciata e canto
qualche volta, davanti allo specchio

La mia faccia, devo pur confessarlo
può ispirarmi profonda pietà
un uomo è un uomo, su questo non c’è scampo
quando si tuffa nella quotidianità

Fra nemici e alleati può varcare
il giorno come Mosè fece col mare
prima di notte sarà utile un complice
meglio una donna, tutto sembra più semplice

La salute si sa viene prima di tutto
e un grande avvenire ci aspetta
c’è nel futuro un crescente guadagno
arriveremo in fretta

Il secolo è democratico
concede tutti i dubbi
nessuno creda facile
tener lontano l’erpice

Vengo da una campagna
fatta di sogni e costi
foreste meste
tempeste

Sento che mi seduce
talvolta il vecchio Ortis
quando sine pecunia
l’homo è l’imago mortis

Milo DeAngelis

Milo DeAngelisVedremo Domenica

Stringevi in una pietra
l’idea: pietra rimasta
tra quelle migranti
dove qualcuno ci fiondò esattamente
era la stessa mano
che gira all’infinito la maniglia
e infine ci addita, con la sola
certezza del proprio pallore.
Si è fatto giorno. Grande è la scuola
della fine e del ritorno
di ogni amore.

Nanni Balestrini

Nanni Balestrini

e intorno adagio
quante cose lentam
nel passare oscillano
le più svelte aspettano
qualche volta ora
poco a poco inboccano
una lunga giallo
imprigionando e fuori
finalmente ascoltano
facendo finta e un poco
dopo il non ritornano
rimane stretto palpabile
posato appena o si rin
corre perdutamente.

Patrizia Cavalli

Patrizia Cavalli

Eravamo tutti perdonati.
Perché l’aria ci assorbiva
nella sua temperatura. La testa
piegata di lato, la guancia che tocca
la spalla e quasi l’accarezza. Liscio
il respiro, sollevato volante.
Il cuore pattinava controvento.
Oh varietà! Oh insieme!
Ogni strada è felice
se una pioggetta tiepida
intimidisce la luce
e la costringe a spargersi
senza predilezioni.
Più che perdono. Eravamo accolti.

Raffaello Baldini

Raffaello Baldini

1938

La mèstra ad Sant’Armàid
dal vòlti, e’ dopmezdè,
la s céud tla cambra e la zènd una Giubek.
La n fòmma.
Stuglèda sòura e’ lèt
La guèrda ch’la s cumsòmma.
U i pis l’udòur.
Dal vòlti u i vén da pianz.

Roberto Carifi

Roberto Carifi

Un fragile barlume
fascia di sangue le carte abbandonate,
un’ombra avvolge le cose del pensiero,
i consueti arnesi del tormento,
apro la Metafisica di Jaspers
e dentro leggo il nostro naufragio,
la nudità insensata del tuo sguardo spento.
Di questa vita, penso, non c’è che il nulla
appreso dai passi che non sento,
dalla voce che ha smarrito il suono,
dal povero animale che nell’occhio opaco
specchia la mia penombra.
Se in quella vuota alterità cercassi l’anima
vi troverei la mia deserta e ammutolita,
questo mi resta della vita,
un sordo lamento che mi sveglia
alla gelida insonnia del destino,
anche se vecchio l’orfano
ha un pianto di bambino.

Roberto Mussapi

Roberto Mussapi

Sailing from Venezia

“Questo è il vetro, si gonfia
col soffio, prende la forma dal respiro,
tutto ciò che tintinna, che ride, fu soffiato,
senti le labbra dell’uomo sull’orlo del bicchiere,
ecco perché ridono così, le ragazze,
con quelle voci argentine, da brindisi,
quello è il vetro dove tutto si specchia,
il canale, vedi, la città riflessa,
le fondamenta in pace con le acque,
come una flotta ferma in un oceano
di vetro e di silenzio,
questo è il parabrezza, ad agosto,
i moscerini spiaccicati la prova del viaggio,
del piede sull’acceleratore, della notte,
pioverà, il tempo sarà segnato dal tergicristallo,
le palpebre battono col ritmo del respiro,
si aprono inspirando,
da lì io vedo il mondo.”

Tiziano Rossi

Tiziano Rossi

Bambino acquattato

Forma diversa di una foglia
da bene guardare più vicino
e il sassolino da scambiare con la foglia
che si potrebbe anche mettere sul sasso,
magari più verde
di questa mia foglia (<mi dai?>) rinsecchita
e poi contando – se mai –
come è grande, allargando le dita:
come forse quel filo di erba
con la sua spiga più bella dell’erba?

Così fermato nella densità del prato
lui – tutto piccolo – si china
a frugare questo mondo (il più acquattato).

Tomaso Kemeny

Tomaso Kemeny

Abbozzo di autoritratto

Nel grande circo
volteggia in sella a una bici candida.

Ovunque fuoco segreto orla ali
stellandogli il corpo che sfida la logica
degli eventi.

Fuoco bianco al culmine
del mutamento insaturabile (blank!)

kairòs, urlo fragile (s’ingiglia
la montagna dell’Ararat)
incenerisce
anni di vita annidati nel fulmine.

<Racchiuso nella luce
del tuo sguardo d’angelo
il cosmo sfolgoRa>

Tonino Guerra

Tonino Guerra

Canteda IV

I profòil

E’ monsignòur Donati ch’e’ stèva ma la Pènna
l’eva un lòibar sa tòtt i profòil di re, regini
e pròinzip ch’i éva cmandè in Italia. E fra lòu
u i éra ènca Oliva de’Medici che e’ còunt
l’è stè dagli òuri a guardèla e u s’è cunvòint
che piò bèla ad li u n gn’èra nisonna te mond.

Quand l’andéva véa, e’ monsignòur Donati
l’à ciap Ambèrto da una pèrta e pu
u i à détt che la diferenza granda
tra quéi ch’i cmanda in Tèra
e Léu che diréz iniquél da d’in èlt, la è
che e’ Padretéran u n’à e’ profòil, l’è sémpra tòtt.

Una matòina l’è andè a zcòrr s’una dòna ch’la
féva al chèrti e cla vècia, quand l’è scap fura
e’ fènt ad spédi dri ma l’as ad danèri, la i à zcuért
che tla su vòita u i éra qualcòsa ad strambalèd.

Tòtt i martedè e’ còunt e’ guardèva ma la televisiòun
la stòria d’un vèc dl’America Centrèla
ch’u s’èra mèss in tésta da fè spusè du
zòvan ad vint’an
ch’i n s’éra mai vést e ch’i éra mòrt par disgrèzia.

Ste vèc, zòira che te zòira, l’à zcòurs si parènt
ad li e ad léu, l’à fat al chérti e via.

Tl’éultma puntéda u s’avdéva e’ spusalòizi
te camsènt dri mal do tòmbi tachèdi
e pu tòtta la zénta a sbat al mèni e a pianz
e a ròid fina a nòta èlta, se fugh dal chèrti
ch’al bruséva e al purtéva la nòva in zil.


                                                                                                                  
Canto IV / I profili
Monsignor Donati che abitava a Pennabilli aveva/un libro con tutti i profili di re, regine/e principi che avevano comandato in Italia. E tra loro/c’era anche Oliva de’ Medici che il conte/ha guardato per due ore, convinto/che più bella di lei non ce n’era nessuna al mondo.//Mentre se ne andava. monsignor Donati/lo ha preso in disparte e/gli ha detto che la grande differenza/tra quelli che comandano sulla Terra/e Dio che dirige ogni cosa dall’alto, è/che il Padreterno non ha profilo, è sempre tutto.//Una mattina è andato a parlare con una/cartomante e la vecchia, quando è uscito fuori/il fante di spade dopo l’asso di danari, ha capito/che nella sua vita c’era qualcosa di strampalato.//Tutti i martedì il conte seguiva alla televisione/la storia di un vecchio dell’America Centrale/che si era messo in testa di far sposare due/giovani di vent’anni/che non si erano mai visti e che erano morti per una disgrazia.//
Questo vecchio, gira e rigira, ha parlato con i parenti/di lei e di lui, ha fatto preparare le carte e via.//Nell’ultima puntata si vedeva lo sposalizio/nel cimitero accanto alle due tombe accostate/e poi tutta la gente a battere le mani e a piangere/e a ridere fino a notte alta, col fuoco delle carte/che bruciavano e portavano la notizia in cielo.
   

 

      

Umberto Fiori

Umberto Fiori

Di guardia

Mi conoscono bene, hanno ragione:
io sono come un cane,
una di quelle bestie nere che dormono
intorno ai capannoni industriali
e se passi, si avventano di colpo
sulla rete metallica
e più gli dici –buono!-
più si sgolano.

Adesso, chi li consola?
finchè non hai girato l’angolo
gli bolle il sangue. Tirano tutti sordi.
Scoprono i denti, mordono
anche il filo spinato; ma sono gli occhi
che fanno più paura: sereni
e puri come quelli di un neonato
o di una statua.

Hanno imparato il compito: questo recinto,
tenerlo sgombro. Sia senso del dovere
o invece solo istinto, non ti commuove
almeno per un attimo
la scena che –loro-
sempre, tutta la vita
li fa smaniare, li esalta
e li avvelena?

Io, per me , lo capisco
meglio di tutti gli altri che ho mai sentito,
questo discorso.
La riconosco bene la voce
fanatica, che sbraita per difendere
-così, alla cieca, per pura gelosia-
l’angolo dove l’hanno incatenata.

Tu non sai che cos’è, stare di guardia,
in ogni odore
sentire una minaccia
a quei tre metri di terreno,
urlare in faccia al mondo intero
fino a perdere il fiato, e non sapere
cosa c’è da salvare, a che cosa
veramente si tiene.

Valentino Zeichen

Valentino Zeichen

Little Memo

Tu sarai anche una stella,
ma nella vanità del mondo
non sono da meno d’uno specchio;
e se valida quella teoria che vuole
l’universo in espansione
ci allontaniamo l’uno dall’altra
come galassie, lasciando tracce
di sangue sullo spettrografo.
In un’ipotesi contrapposta
L’infinito sarebbe stazionario
E manterremmo le oscure distanze,
a mio malincuore.
Per avvicinarci dovrebbe prevalere
La teoria dell’universo che ci contrae,
ma equivarrebbe al finimondo
perciò, addio, stellina bionda

Valerio Magrelli

Valerio Magrelli

Questa grafia si logora,
saltano gli angoli, le <<erre>>,
le <<elle>>, tornano tonde,
rotolano limate, levigate
pietre nella corrente.
I volti anche,
i volti si consumano
a forza d’esser guardati.
Diventano paesaggi
di rovine.

Vivian Lamarque

Vivian Lamarque

Autoritratto

Io uovo di Pasqua
ho carta e carta addosso
un fiocco rosa stretto
cioccolato nero in fronte
pulcini a mille in testa
sto dietro al vetro
con una sorpresa dentro.